Chiavi delle parti comuni: un diritto o un privilegio? La Cassazione fa chiarezza sul delicato equilibrio tra proprietà condivisa e uso esclusivo.
L’accesso alle parti comuni di un condominio è spesso motivo di tensione tra i residenti. Le chiavi che permettono di aprire cancelli, portoni, soffitte, cantine o terrazzi comuni diventano, nei fatti, un potente strumento di controllo sull’uso degli spazi condivisi. Ma chi può averle legittimamente? E può un solo condomino tenerle tutte per sé, magari impedendo l’accesso agli altri? La recente sentenza della Corte di Cassazione n. 26024/2024 offre finalmente una risposta chiara e definitiva a queste domande, ribadendo alcuni principi fondamentali della normativa condominiale e introducendo importanti riflessioni anche sul fronte del rischio di usucapione.
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ToggleÈ possibile che un solo condomino detenga le chiavi delle parti comuni?
No, non è lecito che un singolo condomino abbia l’esclusiva detenzione delle chiavi di uno spazio comune. La Cassazione è stata chiara: ciascun condomino ha pieno diritto di accedere alle parti comuni in virtù di quanto previsto dall’art. 1102 del codice civile. Questo significa che, se esistono aree come cantine, terrazzi o sottoscala che sono condivise, ogni condomino deve poterne fruire in egual misura, senza dover passare per l’autorizzazione dell’amministratore o, peggio, di un vicino di casa. La detenzione esclusiva delle chiavi configura non solo un abuso del diritto, ma apre la strada a pericolose rivendicazioni future, come il rischio che il soggetto in questione maturi il possesso utile ai fini dell’usucapione.
Cosa succede se le chiavi sono in mano a uno solo? Si rischia davvero l’usucapione?
Sì, il rischio è concreto. Se una persona impedisce l’accesso pacifico e continuato degli altri condomini a una parte comune, e lo fa per un periodo prolungato – come i 20 anni richiesti dalla legge per l’usucapione – potrebbe, in casi estremi, chiedere la proprietà esclusiva di quello spazio. È questo uno degli aspetti più allarmanti evidenziati dalla Suprema Corte. Per evitare tale pericolo, è fondamentale che l’accesso alle aree comuni sia sempre trasparente e condiviso tra tutti i proprietari, e che l’amministratore intervenga per prevenire comportamenti monopolistici.
È l’assemblea a decidere chi può avere le chiavi?
In parte sì. L’assemblea condominiale ha il potere di regolamentare l’accesso alle parti comuni, come indicato dall’art. 1135 del codice civile. Tuttavia, non può in alcun modo escludere un condomino dal godimento di un bene comune. Ogni decisione che implichi la privazione dell’accesso a un’area condivisa richiede l’unanimità. In altre parole, una maggioranza non può deliberare che solo uno o due soggetti abbiano le chiavi della soffitta o del lastrico solare. Qualsiasi restrizione deve essere giustificata da ragioni di sicurezza e comunque garantire il diritto all’uso anche degli altri, magari con accessi controllati o su richiesta.
E l’amministratore? Può avere lui tutte le chiavi?
Sì, ma con delle precisazioni. L’amministratore può essere incaricato dalla stessa assemblea di custodire le chiavi delle parti comuni. In questo caso, egli ha il dovere di supervisionare l’accesso, garantendo che non vi siano discriminazioni tra condomini. Questo ruolo non può però essere interpretato in maniera autoritaria: l’amministratore è un esecutore delle volontà dell’assemblea e non può decidere in autonomia di limitare l’accesso. Ogni condomino ha diritto, previa richiesta, a poter accedere agli spazi condivisi, anche se le chiavi sono custodite da un soggetto terzo.
Come si concilia tutto questo con la normativa sulla privacy?
Anche l’accesso agli spazi comuni deve rispettare le regole in materia di privacy condominiale. Per esempio, se un’area comune è dotata di sistemi di videosorveglianza o vi si svolgono attività potenzialmente sensibili (come lo stoccaggio temporaneo di beni), è necessario che ci siano adeguate misure di protezione dei dati personali. Inoltre, le chiavi non possono essere distribuite indiscriminatamente senza tracciabilità, proprio per evitare abusi. La gestione delle chiavi, in questo contesto, assume anche una rilevanza in termini di conformità al GDPR e al Codice della privacy.
E per quanto riguarda invece la privacy all’interno delle parti comuni?
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Autore
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“Avvocato già iscritto all’Albo presso l’Ordine degli Avvocati di Torino. Laureato in Giurisprudenza presso l’Università degli studi di Torino con tesi in materia di Big Data e rispetto del Regolamento Europeo per la protezione dei dati personali (GDPR). Specializzato in diritto della privacy, diritto penale e responsabilità civile”.
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